LE MIE LEZIONI A "STUDIO 254"
SU CINEMA E PSICHIATRIA
di
Domenico Mazzullo
Essendo nato nel 1949 posso considerarmi ancora
figlio del dopoguerra, con tutto ciò che questo comporta di
negativo, ma anche di positivo certamente.
Sul versante negativo posso sicuramente
riconoscere le condizioni economiche della mia famiglia, che certo
non permettevano un mio impegno post-scolastico in tutte quelle
attività sportive e sociali di cui sono piene le vite dei bambini di
oggi, divisi ed impegnati tra basket, nuoto, scherma, corsi di
inglese e di informatica e scuole di calcio per la gioia, mista a
sacrificio dei genitori, forse più che dei figli.
A me, terminato l’impegno scolastico quotidiano
per quattro sole ore al mattino, con un maestro unico e tanto di
grembiulino e fiocco bianco, non rimaneva altro, nei lunghi
pomeriggi, completati i compiti di scuola, che andare a giocare in
istrada, con gli amici, giochi naturalmente autogestiti e realizzati
con mezzi di fortuna e tanta fantasia e inventiva.
Ma la straordinaria timidezza che via via si
faceva strada e si sviluppava entro di me figlio unico, superata e
dominata, ma non vinta, grazie ad un corso di recitazione che
riuscii a frequentare solo negli anni a venire universitari, mi
rendeva sempre più difficile ed ardua la frequentazione delle
comitive di ragazzini prepuberi ed immediatamente postpuberi che si
andavano formando, condannandomi ad una scomoda quanto sofferta
solitudine.
Unico antidoto a questa, graditissimo quanto
salvifico, è stato il cinema che cominciai a frequentare
assiduamente quanto solitariamente non appena i miei genitori mi
dettero la possibilità di recarmici da solo.
Ai miei tempi esisteva una gerarchia rigida
nell’ambito delle sale cinematografiche che, in ordine crescente di
importanza, si distinguevano in: sale parrocchiali e sale di terza,
seconda e prima visione.
Il mio già presente e percepibile
anticlericalismo mi impediva di frequentare le sale parrocchiali, le
più economiche ed abbordabili, per cui la scelta si soffermava sulle
sale di terza visione, essendo quelle di seconda e prima
irraggiungibili per le scarse risorse finanziarie.
Alla soglia dei dodici anni una grande
scoperta, che segnò uno spartiacque nella mia educazione alla
sessualità, fu rappresentata dalla conoscenza, avvenuta per opera di
mio padre, del cinema-varietà, come si diceva allora, nel quale le
proiezioni cinematografiche erano inframmezzate da spettacoli di
pseudo-teatro leggero, meglio detto “avanspettacolo” nel quale
comici improvvisati si esibivano in monologhi a doppio senso, che
puntualmente non comprendevo e ballerine di età indefinibile e dai
fisici improponibili, si contorcevano in danze lascive che
suscitavano le sonore acclamazioni di un raro pubblico,
assolutamente maschile, eccitato allo spasimo e rumoreggiante.
Come fosse permesso l’ingresso a me ragazzino
solitario, ancora con i calzoni corti, mi risulta tuttavia un
mistero. In queste sale si coniugava per me il piacere della carne,
con il piacere tutto intellettuale e spirituale del film.
Al cinema in generale e al cinema di quegli
anni, in special modo, devo tantissimo, non solo come compagno di
tante ore solitarie, ma soprattutto e ciò è tuttora molto più
importante per me, come strumento imprescindibile della mia
educazione morale e civile, come avviamento e viatico per la vita.
Erano anni diversi da quegli attuali e il
cinema, per fortuna, ne riproduceva e rispettava i gusti e le
attitudini, forse più semplici ed elementari, forse meno
sofisticate, ma sicuramente più comprensibili per la mente semplice
di un bambino in cerca di certezze e rassicurazioni, di chiarezza
interiore, sulla quale costruire la propria vita.
Le pellicole proiettate erano per la maggior
parte in bianco e nero, rare quelle a colori, e il bianco e nero
delle immagini si rifletteva anche in un bianco e nero di contenuti,
soprattutto sul piano morale.
Il mondo era più semplice e chiaro: i buoni
erano totalmente buoni e stavano da una parte, i cattivi viceversa
erano totalmente cattivi e stavano da un’altra parte. I bianchi
erano buoni e gli indiani irrimediabilmente cattivi; i tedeschi
della II guerra mondiale cattivi, così come i loro alleati
giapponesi e gli americani buoni; i nordisti della guerra di
secessione, buoni, i sudisti schiavisti e dalle improponibili divise
grigie i cattivi, i poliziotti difensori della Legge, naturalmente
buoni, i criminali totalmente cattivi. Gli anni settanta erano
ancora di là da venire con il loro revisionismo storico e film come
“Un uomo chiamato cavallo”, “Soldato blu”, “Piccolo grande uomo”,
che giunsero proditoriamente a cambiare le carte in tavola, per cui
gli indiani diventavano improvvisamente buoni e i bianchi cattivi,
scuotendo e scompaginando le nostre ferree certezze e le nostre
granitiche sicurezze.
Questa rigida distinzione manichea sul piano
morale, corrispondeva perfettamente al desiderio di certezze di una
mente in formazione, bisognosa di porre dei pilastri sui quali
costruire una propria morale adulta e consapevole, fatta e
arricchita anche di “distinguo” e “chiari-oscuri” che andavo via via
scoprendo ed aggiungendo, ma che dovevano basarsi su una solida
impalcatura preesistente, per non essere invece sconvolgenti e
destrutturanti.
Devo infatti al cinema soprattutto e
specialmente a questo, la prima folgorante acuta scoperta del “senso
del dovere” che rimarrà sempre per me, la struttura portante della
mia vita, della lealtà, della fedeltà a se stesso e ai propri
ideali, dell’onore da difendersi e rispettare, della libertà e in
fine della dignità, bene supremo, indiscutibile, imprescindibile e
alla quale non si può e non si deve mai rinunciare, anche a costo
della vita.
Tutto questo al cinema e per mezzo del cinema?
Senza dubbio e posso citare uno ad uno i film che hanno segnato la
mia vita e che ancora torno a rivedere quando ho un problema, un
dubbio morale, un momento di sconforto, una delusione, quando si ha
l’impressione di aver sbagliato tutto e che tutto ci crolli addosso.
Per il senso del dovere posso citare certamente
“Mezzogiorno di fuoco”; Un dollaro d’onore”, “Ombre rosse”; “Il
buio oltre la siepe”, “Roma città aperta” Il Generale Della Rovere”;
“In nome della Legge” ma anche film più recenti : “La Grande Guerra”;
“Uomini contro”; “Becket e il suo re”; “Scent of a woman”; “Gli
intoccabili”; “Gandhi”; “La confessione”; “Quattro minuti”; “Lettere
da Iwo-Jima” e tanti altri che mi hanno condotto e sostenuto
nella scoperta di questo sentimento.
Ma la vita non è fatta solo di doveri e così
anche il cinema. Vi sono i sentimenti, le passioni, l’amore, la
maternità, il coraggio e la vigliaccheria, le relazioni tra genitori
e figli, tra figli, tra fratelli, i drammi della solitudine, della
malattia, della morte, nostra e delle persone che ci sono care,
dell’incertezza del futuro, dei fantasmi del passato che tornano a
tormentarci, delle nostalgie e dei rimpianti, degli eroismi e delle
umane miserie, delle fantasie nobili e meno nobili, i drammi della
coscienza e gli acuti rimorsi, i sogni della infanzia e perché no,
anche la fantascienza, ma anche e questo mi riguarda più da vicino,
la umana follia.
Per ognuno di questi temi potrei citare decine
di film, ma risulterei noioso. Lo faremo assieme. Intanto vorrei
dare solo qualche piccola anticipazione di quei film che certamente
ed inevitabilmente faranno parte dei nostri discorsi perché
esplicativi, esemplificativi di quei sentimenti umani, di quelle
situazioni umane, ma anche di quelle tipologie di personaggi che io
psichiatra mi trovo a conoscere e vedere ogni giorno, che incontro
ogni giorno, nella mia vita professionale e non:
Bergman “Il posto delle fragole”
Il viaggio onirico del dott. Borg, all’interno della sua coscienza
di medico
Begman “Il settimo sigillo”
L’uomo di fronte alla morte
Bergman “Fanny e Alexander”
Hitchcock Tutti i film al gran
completo
Joffè “Vatel” La
dignità di un cuoco
Ang Lee “Mangiare, bere, uomo,
donna” Un padre alle figlie:”Noi ci preoccupiamo gli
uni degli altri, ma non ce lo
diciamo. La somma di queste
preoccupazioni costituisce una famiglia”.
Ang Lee “Tempesta di ghiaccio” Una donna all’amante che dopo un rapporto le parla del suo
lavoro: “Ho già un marito che mi parla di lavoro. Non ho scelto di
avere un amante per sentir parlare di lavoro anche lui:
Wayne Wang “Smoke” Storie
che si intrecciano a Brooklyn attorno alla bottega del tabaccaio.
Anderson-Coolidge-Heche “Women”
Tre episodi ambientati in tempi diversi nella stessa casa, per
tre storie di omosessualità femminile
D’Alatri “Casomai”
Scene da un matrimonio
Ivory “Quel che resta del
giorno” Un eroe della rinuncia
Mulligan “Il buio oltre la
siepe” “Signorina Finch si alzi in piedi. Passa
suo padre”.
Lean Il ponte sul fiume Kwai La paranoia di un militare
Dmytryk “L’Ammutinamento del
Caine” Ancora la paranoia di un militare
Bentos “La macchia umana”
La vergogna delle proprie origini.
Kasdan Turista per caso
Un disincantato turista della vita…
Comencini Tutti a casa
Il dramma dell’8 Settembre
Salce “Il Federale”
“Buca! Buca con acqua! Buca con acqua e sassi!
Scola “La Famiglia”
Il ritratto di una famiglia della borghesia romana
Scola “Una giornata particolare”
Due emarginazioni in una giornata di tripudio fascista
De Sica “Il Giardino dei Finzi
Contini” Il dramma degli ebrei italiani nel
ricordo dell’amore di Giorgio per Micol
Pupi Avati La seconda notte di
nozze Il delicatissimo amore di uno schizofrenico
Pupi Avati “Una gita scolastica”
Il film della nostalgia
Sono costretto ad interrompermi qui per ragioni
di spazio, chiedendo idealmente scusa ai tanti altri film esclusi,
ma che saranno protagonisti delle nostre conversazioni
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